Il Locale Portineria di Proprietà condominiale

A CHI SPETTA LA RENDITA DA LOCAZIONE DEL LOCALE PORTINERIA QUALE BENE DI PROPRIETÀ CONDOMINIALE

Un Condominio dispone di un locale-portineria di proprietà condominiale che viene concesso il locazione a terzi. La rendita locatizia di tale immobile viene distribuita tra i condomini proprietari delle unità immobiliari facenti parte dell’edificio. Senonché uno dei condòmini ha concesso in locazione a terzi la propria unità abitativa. L’inquilino di tale unità chiede di conoscere se possa rivendicare il diritto alla riscossione della quota di rendita locatizia ricavata dalla cessione in locazione del locale-portineria spettante al proprio locatore, eventualmente compensando tale quota con gli oneri condominiali dovuti.

Il quesito deve ricevere risposta negativa.
L’inquilino, il quale viene immesso nel godimento del bene principale e dei servizi comuni (in luogo del locatore/proprietario – compartecipante alla comunione), non ha diritto alla riscossione della rendita derivante dalla locazione del bene in proprietà comune in quanto non è titolare del diritto reale di proprietà, pro-quota, che – solo – ne legittima la riscossione dei frutti civili.
A cascata, non potendo percepire i frutti del bene comune, l’inquilino non potrà nemmeno compensarli con le proprie voci di debito per oneri condominiali, che vengono versati a titolo di contribuzione per l’uso dei beni comuni.
L’inquilino tuttavia conserva la facoltà di chiedere di essere estromesso dai pagamenti delle spese e degli oneri condominiali connessi al servizio di “portineria”, allorquando il locale adibito a detto servizio venga dal Condominio sottratto all’uso comune e concesso in locazione a terzi.
Tutto ciò salvo che il Regolamento condominiale non disponga altrimenti e salvo differenti accordi contrattuali a cui addivengano inquilino e proprietario. Quest’ultimo infatti ben potrebbe – per le più svariate ragioni (ad esempio connesse alla quantificazione dell’ammontare del canone locatizio in sede di trattativa) – cedere all’inquilino la propria quota di rendita del bene comune locato a terzi, trattandosi di diritto disponibile.

Le ragioni in diritto

A mente dell’art. 1117 n° 2 c.c. i locali per la portineria e per l’alloggio del portiere sono di proprietà comune, salvo che il titolo (atto di acquisto o regolamento di condominio di origine contrattuale) non disponga altrimenti.
Le norme dettate in materia di condominio negli edifici non si occupano esplicitamente dell’evenienza della cessione e/o della locazione di tali parti comuni dell’edificio, contemplando esclusivamente la regolamentazione delle spese relative alle parti comuni.
Occorre dunque ricorrere alle disposizioni sulla comunione in generale (applicabili al condominio in virtù del rinvio operato dall’art. 1139 c.c.) e raccordarle ai principi generali ed alle disposizioni in tema di condominio degli edifici.
Le norme di riferimento saranno dunque gli artt. 1100 e ss c.c. e gli artt.1117 e ss. c.c.
Posto che in tema di comunione in generale “…il concorso dei partecipanti, tanto nei vantaggi quanto nei pesi della comunione, è in proporzione delle rispettive quote.” (art. 1101 c.c.), se ne deve desumere che il locale-portineria, quale bene di proprietà comune ai condomini, vede questi ultimi (in quanto proprietari pro-quota del bene) partecipare tanto alla rendita quanto alle spese occorrenti per la sua conservazione e manutenzione. In altri termini, ciascun condomino nella comunione ordinaria partecipa alle spese occorrenti alla conservazione e manutenzione della cosa comune e ne trae anche i frutti, il tutto in ragione della quota del diritto di proprietà a lui spettante sulla cosa. Nella comunione degli edifici, se il regolamento stabilisce che alcuni beni siano in proprietà comune a tutti i condomini, ciascun condomino sarà tenuto a partecipare alle spese di manutenzione e conservazione del bene comune (rif. Art. 1118 c.c.) e, in via analogica rispetto a quanto accade in tema di comunione ordinaria, avrà anche diritto di partecipare alla ripartizione degli utili che eventualmente ne dovessero derivare.
Raccordando dunque le norme, in assenza di esplicita disposizione normativa sul punto, se ne deduce che – in linea di principio generale – con riferimento ai beni di proprietà comune condominiale (quale può essere la portineria del condominio) i costi e le rendite vanno – rispettivamente – sostenuti e percepiti dai condomini (proprietari) proporzionalmente alle rispettive quote millesimali di proprietà condominiale.
Sempre volgendo lo sguardo alle disposizioni vigenti in materia di comunione ordinaria (art. 1108 c.c.), per gli atti di alienazione o di costituzione di diritti reali sul bene comune e per le locazioni di durata ultranovennale – quali atti di straordinaria amministrazione – sarà necessario il consenso di tutti i compartecipanti. Ne consegue che per tali atti – nell’ambito della comunione condominiale – ciò si tradurrà in una necessaria deliberazione assembleare all’unanimità dei consensi. Per converso, la locazione di durata più breve esigerà una deliberazione ad adottarsi con la maggioranza semplice, quale atto di ordinaria amministrazione che può anche essere concluso dall’Amministratore e ratificato dall’Assemblea. Così si è espressa anche la Corte di Cassazione con pronuncia 10446/1998. Tanto si segnala per evidenziare che nel caso di specie deve essere verificata la regolarità della deliberazione assembleare con la quale il Condominio si è determinato al mutamento di destinazione d’uso del locale portineria ed alla sua successiva locazione, benché (per quanto più avanti si dirà) l’inquilino conserva interesse a detta verifica solo nella misura in cui il deliberato assembleare abbia avuto potere incidente sui costi posti a suo carico.
In dottrina c’è chi ritiene che i condomini possano deliberare di accantonare gli introiti derivanti dalla locazione del bene comune in un fondo destinato alla riduzione delle spese generali del condominio. Benché in effetti l’Assemblea sia sovrana nel disporre di una tale eventualità, a parere della scrivente il singolo condomino potrebbe legittimamente opporsi a tale evenienza. Ciò perché i criteri di ripartizione millesimale delle spese condominiali non necessariamente si presenteranno esattamente corrispondenti al criterio di ripartizione millesimale della rendita da locazione, con la conseguenza che potrebbero crearsi discrasie tra l’attribuzione della quota di rendita e la partecipazione alle spese comuni. Resta ovviamente sempre in potere dell’Assemblea adottare una deliberazione di tal fatta, eventualmente con dei correttivi contabili, ove necessari, per la corretta imputazione ai singoli Condomini di spese e rendite.
Peraltro i proventi della locazione del bene comune andranno dichiarati al fisco dai compartecipanti alla comunione, e non dagli inquilini. L’Agenzia delle Entrate nel fornire le istruzioni per la compilazione del quadro B – Redditi da fabbricati del Modello UNICO, così recita: “I locali per la portineria, l’alloggio del portiere e per gli altri servizi oggetto di proprietà condominiale cui è attribuibile un’autonoma rendita catastale devono essere dichiarati dal singolo condomino solo se la quota di reddito a lui spettante per ciascuna unità immobiliare è complessivamente superiore a euro 25,82. L’esclusione non si applica per gli immobili concessi in locazione e per i negozi”. Vero è che l’inquilino è “possessore” dell’immobile e delle parti comuni del fabbricato e, in quanto tale, in linea teorica potrebbe locare l’immobile (in luogo del proprietario) e percepirne il relativo reddito, ma ciò potrà accadere solo ove al principio generale (che attribuisce la rendita al Compartecipante alla comunione) si sia derogato pattiziamente col regolamento condominiale o col contratto di locazione, quali leggi speciali che regolamentano i rapporti tra privati con potere derogatorio rispetto alla legge dello stato ed entro i limiti consentiti dall’Ordinamento.
Altro diverso tema di indagine è il rapporto dell’inquilino con il Condominio.
Stringendo il tema agli aspetti qui di stretto interesse, con la consegna del bene oggetto della locazione il conduttore viene immesso nel godimento del bene principale locatogli ma anche delle parti comuni dell’edificio condominiale, quali scale, androne del portone, ascensore e, naturalmente, anche la portineria. Il diritto dell’inquilino si esaurisce nel diritto all’uso e al godimento dei servizi comuni condominiali, mentre non si estende – per ovvie ragioni – al diritto reale sulla cosa comune, unico diritto che legittima il suo titolare a percepire la rendita dal bene, quale frutto della cosa. D’altronde l’inquilino non succede al locatore nell’onere posto a carico di questi di partecipare alle spese di manutenzione, ricostruzione e sostituzione delle parti comuni dell’edificio, spese che dal codice sono poste esplicitamente a carico dei “proprietari” (Artt. 1124, 1125 c.c.).
Assai controversa e ancora oggi materia dagli incerti confini è quella della ripartizione delle spese tra proprietari ed inquilini, che trova la sua fonte sostanzialmente nel regolamento condominiale.
È al regolamento, quale “atto diretto ad incidere su un rapporto plurisoggettivo concettualmente unico con un complesso di norme giuridiche vincolanti per tutti i condomini” (Cass. Civ. 2590/1990) che bisognerà fare riferimento per le norme che disciplinano l’uso delle cose comuni e la relativa ripartizione delle spese. Si ricordi che pur a seguito della riforma n°220/2012 il conduttore non rientra tra gli “aventi diritto” ad essere convocati in assemblea condominiale, mentre “ha facoltà” di intervenirvi solo allorquando si discuta di delibere in ordine ai “servizi” comuni, avendo lo stesso un interesse preciso affinché gli stessi siano ben gestiti ai giusti costi. Il diritto dell’inquilino di partecipare all’assemblea è cioè diretto a tutelare l’interesse di questi a non sopportare maggiori spese per la fornitura dei servizi comuni ed è quindi limitato alle sole assemblee in cui si discutano modificazioni dei servizi da cui derivi una spesa, o un aggravio di spesa, che andrà a pesare sul conduttore. Tale diritto quindi non sussiste per le assemblee con diverso oggetto o deliberanti su servizi comuni che però non abbiano alcuna incidenza sull’onere delle spese (Cass. Civ. 19308/2005).
Tanto si segnala per evidenziare che ogni deliberazione che sia assunta in assemblea condominiale in merito al mutamento di destinazione di uso del locale–portineria ed alla sua locazione a terzi, può essere legittimamente adottata dai compartecipanti alla comunione pur senza la presenza in assemblea di eventuali inquilini, nella misura in cui tali deliberazioni non incidano sulle spese da porsi a carico degli inquilini medesimi.
Peraltro, in ordine ai rapporti tra proprietari ed inquilini, nella normativa di riferimento si fa costante riferimento alla ripartizione delle spese relative all’uso delle cose. In merito a detta farraginosa problematica, anche la legge di riforma (220/2012) non ha introdotto novità di rilievo, né ha fornito un’elencazione dei criteri da adottare per la ripartizione, che restano affidati al Regolamento condominiale, quale lex specialis, ed alla casistica giurisprudenziale. In generale, può segnalarsi che sulle spese d’uso di cui all’art. 1123 c.c., la Suprema Corte (Cass. Civ. 9263/1998) ha detto che i condomini (e per essi dunque gli inquilini) hanno diritto a che il contributo da essi dovuto per le spese per i servizi comuni venga calcolato in funzione della utilità che in concreto da tali servizi ricavano. In ordine al “servizio” di portierato va dunque concluso che l’inquilino dovrà contribuire alle spese per lo stesso “servizio” ma, ove lo stesso venga dismesso, alcuna contribuzione dovrà continuare a versare a tale titolo in quanto non ne trae più utilità.
Per vero è oramai diffusa l’adozione da parte dei condomini di “tabelle d’uso”, adozione rimessa all’assemblea con cui (in estensione al regolamento condominiale), vengono adottati i criteri di ripartizione delle spese tra inquilini e proprietari. Significativo il dato emerso da una analitica ricerca effettuata sul web, sui siti di maggior affidabilità in materia di gestione condominiale, dai quali emerge che le spese per il “servizio” di portierato vengono poste a carico dell’inquilino per il 90% e del proprietario per il 10%.
In chiusura, resta anche significativo un dato: la ricerca giurisprudenziale non ha restituito risultati in ordine all’attribuzione della rendita derivante dalla locazione delle parti comuni dell’edificio in favore dell’inquilino e non del proprietario. L’assenza di risultati non può passare inosservata, potendo essere intesa nell’unico modo possibile, ovvero che detto genere di controversia non è mai giunta all’esame dei Tribunali e delle Corti, essendo la normativa di riferimento chiara sul punto della attribuibilità delle rendite solo al condomino/proprietario e non già all’inquilino, in virtù delle norme che disciplinano la comunione ordinaria.