Una coppia di anziani coniugi abita una villetta di discrete dimensioni alle porte di un paesino che è tappa di un Cammino strutturato, percorso a piedi e in bicicletta da “turisti lenti”, pellegrini, viandanti e cicloturisti.
Dopo il trasferimento dei due figli in altra zona geografica, l’abitazione è divenuta oramai troppo grande per le loro esigenze. Essi dispongono dunque all’interno dell’abitazione di una zona notte – già destinata ai figli e consistente in due stanze da letto ammobiliate con bagno a servizio esclusivo – che per gran parte dell’anno resta inutilizzata, generando anche spese e consumi. Non intendono traslocare in un’abitazione più piccola, volendo lasciare in ogni caso le due stanze a disposizione dei figli, per i loro ciclici ritorni al paese in visita di essi genitori.
Poiché vedono transitare sul sentiero del Cammino numerosi pellegrini e turisti, i quali non di rado si fermano per chiedere loro informazioni, soccorsi e generi di conforto, vorrebbero “sfruttare” le due stanze ammobiliate inutilizzate per offrire alloggio ai viandanti in transito.
Si chiede un parere in ordine alla concreta realizzabilità del detto intendimento.
Una coppia di anziani coniugi abita una villetta di discrete dimensioni alle porte di un paesino che è tappa di un Cammino strutturato, percorso a piedi e in bicicletta da “turisti lenti”, pellegrini, viandanti e cicloturisti.
Dopo il trasferimento dei due figli in altra zona geografica, l’abitazione è divenuta oramai troppo grande per le loro esigenze. Essi dispongono dunque all’interno dell’abitazione di una zona notte – già destinata ai figli e consistente in due stanze da letto ammobiliate con bagno a servizio esclusivo – che per gran parte dell’anno resta inutilizzata, generando anche spese e consumi. Non intendono traslocare in un’abitazione più piccola, volendo lasciare in ogni caso le due stanze a disposizione dei figli, per i loro ciclici ritorni al paese in visita di essi genitori.
Poiché vedono transitare sul sentiero del Cammino numerosi pellegrini e turisti, i quali non di rado si fermano per chiedere loro informazioni, soccorsi e generi di conforto, vorrebbero “sfruttare” le due stanze ammobiliate inutilizzate per offrire alloggio ai viandanti in transito.
Si chiede un parere in ordine alla concreta realizzabilità del detto intendimento.
Il panorama dei contratti nel mercato della Hospitality è molto variegato e denso di forme contrattuali, quasi tutte atipiche, riconducibili a differenti fattispecie contrattuali. Il contratto di albergo, di residence, di campeggio, il contratto di locazione di breve periodo, di ospitalità turistica e agri-turistica, di alloggio in struttura ricettiva, l’affittacamere, l’home exchange, il B&B, il Rent to Rent con finalità turistica ed altre forme contrattuali variamente dette, costituiscono fattispecie dai contorni che nella prassi sfumano l’una nell’altra, ma che sul piano giuridico sono riconducibili a fattispecie differenti ed altrettanto differenti normative.
La crescente diffusione di forme di “turismo lento” nel nostro Paese impone una riflessione giuridica sull’ospitalità domestica quale forma di accoglienza alternativa al tradizionale contratto di albergo – spesso ricercata da pellegrini, viandanti e cicloturisti – che può risultare scelta obbligata in zone in cui il turista voglia soggiornare ma che sia sfornita di strutture tradizionali di accoglienza.
Occorre prioritariamente verificare se ed in che termini viene normata nel nostro Ordinamento la consuetudine di offrire ospitalità in casa propria ad amici, parenti, conoscenti, viandanti e pellegrini ed inoltre se ed in che termini l’ospitalità domestica può trovare ingresso nel settore della ricettività turistica per essere legittimamente utilizzata.
L’ospitalità domestica (o.d.), prima ancora che un contratto, è un’antichissima e diffusa pratica sociale che Treccani definisce come “il fatto stesso di accogliere, di dare alloggio nella propria casa, città, paese o anche di trattenervi temporaneamente un’ospite, una persona che normalmente non vi vive”. Si cercheranno qui i fondamenti normativi di tale consuetudine sociale, storicamente disciplinata da regole etiche e di etichetta variamente elastiche, a seconda del contesto.
In termini sociali, quando nella prassi si ospita in casa un amico, un parente, un viandante, gli si mette a disposizione la propria casa per (co)abitarla a titolo gratuito, quale manifestazione di generosità e cortesia e per un tempo generalmente non prolungato. Gli si mette cioè a disposizione l’abitazione, completa di letto e bagno.
In termini giuridici, ciò si traduce in una identificazione degli elementi essenziali del contratto di o.d., che possono quindi così individuarsi:
- offerta di un tetto, un letto e servizi igienici
- durata tendenzialmente breve
- assenza di scopo di lucro
Partendo da tali elementi essenziali si possono individuare i punti di convergenza e divergenza del contratto di o.d. rispetto alle altre principali tipologie di contratto che col primo hanno in comune l’offerta a terzi dell’uso di un’abitazione per soggiornarvi, ovvero: il contratto di albergo, il contratto di locazione, il contratto di comodato.
Il Contratto di Albergo o di Ospitalità Alberghiera è un contratto atipico, in quanto non disciplinato organicamente né nel Codice Civile né nella legislazione speciale. Esso gode tuttavia di disciplina per ciascun singolo aspetto che compone la figura contrattuale complessa consistente in prestazioni molteplici. La dottrina e la giurisprudenza hanno definito “Contrato di Albergo” quel contratto atipico, consensuale e ad effetti obbligatori, a forma libera, con cui un soggetto – l’ “albergatore” – si impegna a fornire al “cliente” una serie di prestazioni di dare e di facere, caratterizzate dall’uso di un alloggio a cui si accompagnano altri servizi necessari (biancheria, pulizia, climatizzazione inverno/estate, ecc. …) o eventuali (vitto, parcheggio, rete wifi, ecc. …), a fronte di un corrispettivo.
Le connotazioni essenziali del contratto di albergo e le implicazioni normative possono dunque così sintetizzarsi:
L’albergatore è un imprenditore commerciale ai sensi degli artt.2082 e 2195 c.c. ovvero quel soggetto che, dotato di apparato organizzativo dei fattori della produzione, svolge professionalmente attività economica al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi.
L’Impresa alberghiera è diretta ad offrire ospitalità retribuita in forma organizzata, ai sensi di quanto disposto dalla Legge quadro per il Turismo n. 217 del 17.05.1983, D.L. n.79 del 23 maggio 2011 e ss.ii. e mm.
Le strutture in cui viene svolta attività alberghiera sono “esercizi aperti al pubblico” (Alberghi, Hotel, Motel, Pensioni, Relais, B&B…), per tali intendendosi quelle strutture, autorizzate dalla Pubblica Amministrazione, in cui l’esercente non può rifiutare le prestazioni a chiunque le chieda e ne corrisponda il prezzo.
L’albergatore soggiace alle norme di cui agli artt. 1783-1786 c.c. (come modificati dalla L. 10.06.1978 n. 316 in attuazione della Convenzione del Consiglio d’Europa del 17.12.1962) sulla responsabilità degli albergatori per le cose portate in albergo dai clienti, sicché risponde del deterioramento, distruzione o sottrazione delle cose portate in albergo dal cliente (responsabilità che è illimitata quando le cose gli siano state consegnate in custodia o quando abbia rifiutato di ricevere in custodia cose che aveva obbligo di accettare, e che è viceversa esclusa quando le cause siano riconducibili a fatto del cliente o a forza maggiore o alla natura della cosa).
Il contratto è a forma libera, ma una volta concluso ha forza di legge tra le parti ai sensi dell’art. 1372 c.c. e pertanto vincola i contraenti a rispettare gli impegni contrattualmente assunti e al contempo soggiace alla disciplina codicistica del contratto in generale in tema di recesso e risoluzione. Il contratto può dunque concludersi per iscritto tramite telegramma, fax, lettera cartacea o elettronica, ma anche verbalmente, di persona o telefonicamente o per comportamento concludente. Ciò che conta è che da un lato sia formulata la richiesta di alloggio e dall’altro che sia offerta la disponibilità e siano illustratiil corrispettivo, i termini e le modalità di esecuzione del contratto. Quest’ultimo, se concluso telematicamente o mediante modulistica reperibile via Web, soggiace anche alla disciplina del commercio elettronico regolamentato dalla Direttiva CE 31/2000 recepita in Italia con D. Lgs. 70/2003. In buona sostanza, la prenotazione della camera d’albergo, ove accettata dall’albergatore alle condizioni e con le modalità stabilite, fa sorgere in capo alle parti reciproche obbligazioni contrattuali.
Sorgono dunque obbligazioni in capo a ciascuna delle parti contrattuali. L’albergatore si obbliga alla fornitura dell’alloggio e dei servizi connessi, quali la manutenzione dell’alloggio e degli arredi, la garanzia di mancanza di vizi che possano mettere in pericolo la salute dell’ospite o recargli danno, la custodia dei beni che il cliente lascia nell’alloggio, la sicurezza dei locali, il cambio di biancheria, l’igiene e quant’altro promesso nelle condizioni del contratto. Dal suo canto, il cliente è obbligato al pagamento del corrispettivo, alla custodia dei locali e degli arredi per il tempo in cui li usa, con ogni obbligazione che fa capo al custode, e al loro rilascio alla scadenza del termine nello stesso stato in cui li ha ricevuti.
Il Contratto di Locazione è invece un contratto tipico, nel senso che è nominato esplicitamente nel Codice Civile e normato dagli artt. 1571 e ss. c.c., quale disciplina generale che deve essere integrata con la legislazione speciale dettata dalla L. n. 392 del 27 luglio 1978, ora applicabile solo alle locazioni di immobili ad uso diverso dall’abitativo (locazioni commerciali), e dalla L. 431 del 9 dicembre 1998 in tema di locazioni di immobili ad uso abitativo.
A norma di quanto stabilito dall’art. 1571 c.c., la locazione può definirsi come un contratto sinallagmatico con il quale una parte (il locatore) si obbliga a far godere all’altra (il conduttore, inquilino, affittuario o coltivatore diretto) una cosa mobile o immobile per un determinato periodo di tempo e verso un determinato corrispettivo (il c.d. canone o pigione). Tralasciando le specificità della locazione di cose mobili e dei fondi rustici ed anche quelle delle locazioni di immobili a destinazione commerciale, in questa sede si circoscrive l’analisi all’esame degli elementi essenziali del contratto di locazione di immobili ad uso abitativo.
Le connotazioni essenziali possono così sintetizzarsi:
Non necessariamente il locatore è un imprenditore commerciale, potendo rivestire tale qualità anche un privato non imprenditore il quale,percependo il canone di locazione, non svolgerà con ciò attività economica ma trarrà i frutti civili dall’immobile di sua proprietà ai sensi dell’art. 820 c.c. ultimo comma, quale “corrispettivo del godimento della cosa che altri ne abbia”, da qualificarsi quale “rendita”, con ogni conseguenza anche in termini fiscali.
L’immobile oggetto della locazione non costituisce un “esercizio aperto al pubblico” in quanto il locatore non è tenuto ad offrire il proprio immobile a chiunque lo richieda a fronte del versamento del corrispettivo. Anzi, il contratto di locazione è viceversa connotato dall’intuitus personae, ovvero dall’affidamento che il locatore ripone nella capacità personale del conduttore di adempiere esattamente alle obbligazioni nascenti dal contratto.
La forma del contratto di locazione di immobile non è libera, poiché a norma dell’art. 1, 4° comma L. 431/1998 “per la stipula di validi contratti di locazione è richiesta la forma scritta”. Si sorvola qui sull’excursus delle oscillazioni dottrinarie e giurisprudenziali sviluppatesi intorno alla portata da attribuire alla norma. A lungo infatti si è discusso se la forma scritta introdotta dalla L.431/1998 sia prevista ad substantiam (quale requisito di esistenza del contratto) o ad probationem (al più limitato scopo probatorio), se la stipula del contratto in violazione del richiamato precetto normativo (cioè in forma verbale) origini un’ipotesi di nullità assoluta – dunque insanabile – del contratto, oppure di nullità relativa – suscettibile di sanatoria. Si richiama invece la nota Sentenza n. 18214/2015 con cui le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, dirimendo ogni contrasto hanno interpretato la norma nel senso che la forma scritta è prevista quale condizione di esistenza del contratto (ad substantiam) e che la nullità discendente dalla sua violazione è da qualificarsi assoluta, con la precisazione che tuttavia tale nullità è eccepibile solo dal conduttore, quale contraente debole che potrà intentare una specifica azione giudiziaria al fine di sanare la nullità del contratto concluso in forma verbale e che in tale forma gli sia stato imposto dal Locatore.
Sorgono obbligazioni in capo a ciascuna delle parti contrattuali. Il contratto di locazione è infatti anch’esso un contratto sinallagmatico a prestazioni corrispettive sicché, una volta validamente concluso, da un lato obbliga il locatore ad immettere il conduttore nel possesso dell’immobile locato per il periodo di tempo concordato, dall’altro obbliga il conduttore al pagamento del canone locatiziocon la cadenza e nella misura pattuita. A tali obbligazioni principali fa da corollario una serie di obbligazioni secondarie, previste dagli artt. 1572 e ss. c.c., quali – a mero titolo esemplificativo – l’obbligo posto a carico del locatore di provvedere alla manutenzione straordinaria dell’immobile e degli impianti, di mantenere l’immobile in buono stato locativo, di provvedere alle riparazioni e all’eliminazione dei vizi della cosa locata, soprattutto se pericolosi per la salute del conduttore; per converso, l’obbligo della custodia attribuito al conduttore, con tutte le conseguenti responsabilità ed obbligazioni a carico del custode, l’obbligo di provvedere alle manutenzioni spicciole derivate dall’uso della cosa, il pagamento degli oneri condominiali e quant’altro previsto dalle richiamate norme.
Il Contratto di Comodato è anch’esso un contratto tipico, nominato esplicitamente nel Codice Civile e normato dagli artt. 1803 e ss. c.c. a mente del quale si definisce tale il contratto con cui “una parte consegna all’altra una cosa mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo e per un uso determinato, con l’obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta.”. Si tratta in sostanza della regolamentazione del “prestito” di cose mobili o immobili, diffusamente utilizzato nella pratica quotidiana del vivere civile: un contratto di godimento basato sulla gratuità dell’uso della cosa. Non soggiace a tale disciplina il bene denaro – bene mobile per antonomasia – la cui restituzione avviene normalmente per “stessa quantità” misurabile, in quanto bene fungibile per eccellenza (salvo che non si tratti del denaro-bene da collezione).
Il Comodato è un contratto “reale” – che si perfeziona cioè con la consegna della res –con il quale una parte (il comodante) consegna all’altra (il comodatario) un bene, immobile e/o mobile, per un determinato periodo di tempo oppure senza determinazione di durata, generalmente a titolo gratuito. Infatti, a norma di quanto previsto dal 2° comma dell’art. 1803 c.c.: “il comodato è essenzialmente gratuito”, ancorché non sia esclusa la possibilità di ricorrere a forme di comodato “modale” o “oneroso”, con le limitazioni e nei termini di cui più innanzi si dirà.
Le connotazioni essenziali del comodato possono così sintetizzarsi:
Il Comodante non è necessariamente imprenditore commerciale ma può anche essere un privato non imprenditore, il quale non percepirà alcun “corrispettivo” propriamente detto – né reddito, né rendita – a fronte del comodato e di conseguenza non andrà incontro ad alcun discendente obbligo dichiarativo e fiscale nei confronti dell’Erario.
L’immobile oggetto del Comodato non costituisce un “esercizio aperto al pubblico” in quanto, analogamente a quanto accade per la locazione, il comodante non è tenuto ad offrire il proprio immobile a chiunque lo richieda. Al contrario, proprio la sostanziale gratuità del contratto fa sì l’intuitus personae rivesta rilevanza pregnante nella scelta del comodatario, per l’affidamento che il comodante deve riporre nelle qualità personali del primo, nella sua capacità di custodire adeguatamente e di restituire tempestivamente i beni comodati (immobili e/o mobili) quando gli vengano richiesti, nello stesso stato in cui li ha ricevuti.
Il Comodato è un contratto a forma libera, stipulabile anche in forma verbale o con comportamento concludente. Si tratta infatti – come detto – un contratto “reale” che si perfeziona solo con la consegna della res data in godimento, come previsto dallo stesso art. 1803 c.c. e dunque con la materiale immissione del comodatario nella detenzione del bene comodato o con la sua traditio simbolica, ad es. con la consegna delle chiavi nel caso di comodato di immobile.
Secondo consolidata dottrina e giurisprudenza, per la validità e l’efficacia del contratto non è mai necessaria la forma scritta, se non quando abbia ad oggetto beni appartenenti alla P.A. La forma scritta non è richiesta nemmeno per il comodato ultranovennale (non essendo applicabile per analogia il disposto di cui all’art. 1350, 1° comma c.c.) e nemmeno nel comodato la cui durata sia fissata “vita natural durante” (pur di discussa ammissibilità) non essendo ravvisabile in tal caso la costituzione di un diritto di abitazione, quanto piuttosto un contratto di godimento la cui durata è fissata sino ad un termine finale “certus an et incertus quando”, sulle cui problematiche di corretto inquadramento qui si sorvola.
Ferma restando la assoluta libertà di forma, va detto che il ricorso a quella scritta anche per il comodato è molto frequente nella prassi, soprattutto ai fini della attribuzione di data certa al contratto e di opponibilità dello stesso ai terzi di buona fede nei rapporti particolarmente rilevanti, in cui potrebbero sorgere problematiche risolvibili con il ricorso all’art. 1380, 1° e 2° comma c.c (a mente del quale se con successivi contratti una persona concede a diversi contraenti un diritto personale di godimento relativo alla stessa cosa, il godimento spetta al contraente che per primo lo ha conseguito, mentre se nessuno dei diversi contraenti ha ancora conseguito il godimento, sarà preferito colui che abbia il titolo di data certa anteriore).
Sorgono obbligazioni soprattutto in capo al comodatario. Il comodante infatti esaurisce le proprie obbligazioni con la consegna del bene, che potrà in ogni caso richiedere in restituzione senza strettissime limitazioni, anche temporali. Infatti, anche allorquando sia pattuito un termine di durata del contratto, qualora sopravvenga un urgente ed imprevisto personale bisogno del comodante, questi ha facoltà di avanzare richiesta di restituzione immediata ai sensi dell’art. 1809, 2° comma c.c., anche prima della scadenza del termine pattuito. Così come nell’ipotesi del comodato “precario” (in cui non sia stabilito un termine di durata) come disciplinato dall’art. 1810 c.c., il comodante conserva facoltà di recesso ad nutum dal contratto, potendo richiedere la restituzione del bene in ogni tempo.
Per converso, il comodatario è gravato delle obbligazioni tipiche del custode: è tenuto a conservare la cosa con la diligenza del buon padre di famiglia, a servirsi del bene negli stretti limiti dell’uso determinato dal contratto o dalla natura del bene, gli è preclusa la facoltà di concedere a terzi l’uso della cosa senza il consenso del comodante, è responsabile del perimento della cosa, non ha diritto al rimborso delle spese sostenute per servirsi della cosa ma solo di quelle straordinarie rivelatesi necessarie ed urgenti per la conservazione del bene, è tenuto a restituire il bene al termine pattuito oppure anche prima della scadenza del termine, nel caso di cui al richiamato art. 1809, 2° comma c.c. ovvero in ogni tempo in cui il comodante ne faccia richiesta nel comodato senza determinazione di durata.
Il comodatario non è obbligato invece al pagamento del corrispettivo, rivestendo il contratto natura essenzialmente gratuita. Di regola infatti il contratto non prevede a carico del soggetto che riceve la cosa in prestito una controprestazione che sia sinallagmaticamente collegata alla concessione in godimento del bene, comportando il comodato un sacrificio economico per il solo comodante. Gravano però sul comodatario gli oneri economici connessi all’utilizzo e alla custodia della cosa. È perfettamente coerente con la gratuità del contratto che, ad esempio, il comodatario di immobile ad uso abitativo sostenga le spese per i consumi e le utenze (idrico-fognante, elettrica, telefonica ecc…), le imposte per lo smaltimento rifiuti, gli oneri condominiali e quant’altro connesso all’uso dell’immobile. Più in profondità, dottrina (Natale, Galasso, Luminoso) e giurisprudenza (tra tutte, Cass. Civ. n. 4912/1996) hanno sostenuto che sono compatibili con il requisito della gratuità sia l’esistenza di un eventuale interesse proprio del comodante a concedere il bene in comodato (quale ad es. l’interesse a che altri custodiscano il bene in sua assenza) sia la circostanza che l’uso della cosa da parte di terzi arrechi un vantaggio anche di natura economica a condizione “(…) che si tratti di una prospettiva di un vantaggio indiretto e mediato” (quale ad es. l’utilità indiretta che il comodante trae dal non versare gli oneri condominiali che restano a carico del comodatario, quale spesa per l’utilizzo della cosa).
Sul tema, è stato teorizzato un ben preciso discrimine: qualora l’attribuzione di vantaggi al comodante fosse espressamente configurata come oggetto di una precisa obbligazione a carico del comodatario, non si verterebbe in tema di comodato ma si sarebbe in presenza di fattispecie diversa, da qualificarsi di volta in volta in relazione alla concreta portata dell’impegno assunto dal comodatario. Cosicché se l’obbligo in capo al comodatario di attribuire vantaggio economico in favore del comodante assume rilievo e primaria importanza nell’economia dell’accordo – al punto da poter essere qualificato “controprestazione” – allora il contratto non potrà essere qualificato comodato ma, più verosimilmente, quale contratto di locazione (anche a dispetto del nomen), oppure quale contratto atipico sinallagmatico (così Galasso e Cass. Civ. n. 18660/2013). Se invece la prestazione, anche economica, posta a carico del comodatario riveste un ruolo secondario e non si pone in relazione di sinallagmaticità con il godimento della cosa, allora il contratto potrà qualificarsi come comodato “modale” (così Scozzafava, Teti e Cass. Civ. 485/2003, 21203/2016). Dottrina e giurisprudenza sono unanimi nel sostenere che il modus sia apponibile anche al contratto di comodato a carico del comodatario, “purchè sia tale da non snaturare il contenuto del contratto privandolo del requisito della gratuità” e purché non si ponga come controprestazione del godimento della cosa che è invece elemento essenziale nel contratto di locazione.
Su tale solco, è stato anche sostenuto che non sarebbe incompatibile con la natura essenzialmente gratuita del contratto la corresponsione da parte del comodatario di un qualche compenso, anche pecuniario, che sia effettuata spontaneamente. Così Pellegrini e Cass. Civ. n. 9694/1994 che ha detto: “(…) il carattere essenzialmente gratuito non contrasta con la dazione di un modesto contributo pecuniario spontaneamente corrisposto dal donatario”
Alla luce di ciò, chi intenda offrire accoglienza e ospitalità a terzi può farlo ricorrendo ad uno dei tre differenti schemi contrattuali innanzi tratteggiati.
V’è però che l’utilizzo del contratto di albergo non potrà prescindere dal conseguimento della qualifica di imprenditore commerciale e dalle relative differenti prospettive, condotte, finalità, formalità e obbligazioni conseguenti. Dovrà considerarsi che nell’hotellerie l’albergatore, quale che sia la formula di ospitalità utilizzata, non si limita ad offrire ad un terzo uno spazio ammobiliato affinché questi lo utilizzi quale alloggio temporaneo e transitorio. L’ospitato è un “cliente” in senso tecnico che, in virtù del contratto di albergo o di alloggio in residence o similari, acquisisce il diritto a godere temporaneamente della camera ammobiliata e ad usufruire anche di ulteriori servizi la cui prestazione assume “funzione paritetica rispetto al godimento dell’immobile ed entra nel sinallagma contrattuale (…)” (Cass. Civ. n. 11859/1992). Si pensi ad esempio alla pulizia dei locali e della biancheria, al portierato o altri servizi liberamente fruibili quale può essere il ristorante, il servizio in camera, la connessione wifi, ecc… Per converso, il “cliente” è obbligato al pagamento della controprestazione a fronte del godimento temporaneo dell’immobile e dei servizi goduti, corrispettivo che l’albergatore può (deve) legittimamente pretendere, trattandosi di attività economica imprenditoriale che svolge con finalità lucrativa. Si aggiunge che l’esercizio di attività di albergatore – normalmente svolta all’interno di strutture ricettive aperte al pubblico – soggiacerà alle relative formalità previste e disciplinate dalle disposizioni vigenti per il settore Turismo, innanzi richiamate. Cosicché, chi intenda offrire alloggio temporaneo e transitorio a terzi quale “albergatore” dovrà premunirsi delle autorizzazioni necessarie per lo svolgimento di tale attività economica, dovrà soggiacere ai controlli delle Autorità Amministrative e Sanitarie imposte dalle disposizioni in vigore, non potrà rifiutare (salvo grave giustificazione) le prestazioni a chiunque le richieda e versi il relativo corrispettivo, ed infine – non in ultimo – dovrà dichiarare all’Erario i corrispettivi riscossi dai “clienti”, al fine della corretta imposizione fiscale.
Il contratto di locazione, utilizzabile da imprenditori commerciali o meno, per periodi di lunga o di breve durata, presuppone che ricorrano condizioni totalmente differenti. In tal caso infatti, anche se l’immobile viene locato arredato, l’oggetto della prestazione è esclusivamente limitato al godimento dell’immobile, tanto che al locatore è inibito l’accesso all’immobile locato in assenza del conduttore o in sua dissenziente presenza. Prospettiva peraltro – quest’ultima – diametralmente ribaltata rispetto alla pratica dell’ospitalità domestica (dove è l’ospitato che entra “in punta di piedi” in casa di chi lo ospita, e non viceversa).
Sull’argomento, si segnala una pronuncia del Tribunale di Monza (Sent. n. 2258 del 28.09.2012) che ha offerto una ricostruzione delle differenze tra contratto di albergo e di locazione anche sul fronte penalistico, riferite alla integrazione del reato di violazione di domicilio di cui all’art. 614 c.p. che si concretizza quando il locatore acceda all’immobile locato in assenza del conduttore o in suo dissenso, reato che non si concretizza allorquando il rapporto sia regolato dal contratto di albergo.
La specificità dell’argomento ne impone l’analisi in separata sede. Ma ciò che risulta interessante al fine del presente studio, è che in tale pronuncia si sottolinea ancora una volta la diversità radicale tra contratto di locazione e contratto di albergo. Solo in quest’ultimo, infatti, il proprietario della residenza alberghiera (o il suo gestore) conserva per forza di cose il diritto di accesso all’alloggio anche in assenza dell’inquilino, necessario per poter offrire ad esempio il servizio di pulizia, altrimenti non praticabile. Analogamente, è consentito all’albergatore di riservarsi il diritto di rimuovere gli oggetti del cliente dalla camera e di custodirli in altro luogo, a volte anche a spese del cliente, allorquando l’utilizzo della camera si prolunghi oltre il tempo pattuito, ad esempio quando la stanza non venga lasciata all’ora stabilita per il check-out. Diritti che di certo non sono esercitabili dal locatore al quale è fatto invece divieto di accedere all’immobile locato in assenza del conduttore e a cui non è consentito di “sgomberare” autonomamente i locali dagli oggetti del conduttore al termine della locazione.
La distinzione tra i due contratti si apprezza nettamente anche sotto il profilo delle procedure per il rilascio. Qualora l’occupante dell’immobile risulti moroso, il ricorso alla procedura di sfratto ai sensi dell’art. 567 c.p.c. è possibile solo in presenza di contratto di locazione, mentre solo nel caso di contratto d’albergo è lecito l’intervento di un’autorità di pubblica sicurezza, nell’esercizio dei poteri di composizione dei dissidi privati, “al fine di persuadere l’occupante moroso di una camera di residence a rilasciare l’immobile” (così Cass. Pen. n. 26233 del 12.04.2006).
Per tutte le dette ragioni, è opinione di chi scrive che il ricorso al contratto di locazione per l’accoglienza di terzi a fini turistici, è possibile allorquando si possa assicurare la completa indipendenza dell’unità da locare, la sua autonoma fruibilità rispetto all’abitazione del locatore.
In ultimo, ma non per ultimo, chi – imprenditore o meno – intenda offrire ospitalità a terzi ricorrendo allo schema locatizio, naturalmente dovrà dichiarare all’Erario i canoni locatizi riscossi dai conduttori che costituiranno “rendita” ricavata dall’immobile, al fine della corretta imposizione tributaria. Ciò, anche se si tratti di locazioni brevi, anche inferiori ai 30 giorni, in quanto il canone locatizio costituisce un corrispettivo che il conduttore versa a fronte dell’uso dell’immobile.
Nella prassi dell’Ospitalità Domestica, quando il proprietario (o il possessore) dell’abitazione ospita un amico o un parente, generalmente mette disposizione di questi alcuni spazi all’interno della propria abitazione accogliendolo temporaneamente in convivenza con sé, attraendolo nelle proprie abitudini di vita e imponendo le proprie regole etiche di convivenza, mettendogli a disposizione il tetto, il letto (completo di relativa biancheria) e i servizi igienici, spazi non sempre e non necessariamente fruibili in autonomia rispetto all’abitazione dell’ospite. Dal suo canto, chi è ospitato in casa d’altri si adegua ai ritmi di vita di questi in virtù regola non scritta di etichetta, siede alla sua tavola, cerca di dare il meno disturbo possibile, accoglie solo ciò che gli viene offerto e non avanza pretese di servizi. E se da un lato chi ospita giammai pretende denaro in cambio a fronte del proprio gesto di accoglienza, non di rado l’ospite “ricambia” la cortesia, offre vantaggi economici indiretti al padrone di casa, si rende utile collaborando ad esempio nelle piccole faccende domestiche, fa la spesa o offre dolci a fine pasto, un regalo a fine periodo di ospitalità, un cadeau per “sdebitarsi” e ringraziare per l’ospitalità ricevuta. Per contro, l’ospite può porre fine in ogni tempo al proprio gesto di generosità chiedendo senza formalismi al terzo che gli renda la disponibilità dei suoi spazi. Ciò perché l’ospitalità domestica ha intrinseca natura “volatile”, ovvero oltremodo transitoria e temporanea, non “stabile”.
È dunque evidente che l’Ospitalità Domestica risponde a tutte le caratteristiche del Comodato, presentandone tutti gli elementi essenziali: temporaneità e transitorietà, libertà assoluta di forma, agilità dell’esercizio del diritto di recesso da parte del comodante, obbligazioni a carico quasi esclusivo del comodatario, gratuità o eventuale apposizione di modus oneroso, in forma di esiguo dono non costituente corrispettivo, assenza di servizi aggiuntivi al comodato dei beni comodati e conseguente inapplicabilità sia della disciplina locatizia che di quella alberghiera e relative nascenti obbligazioni.
Ricorrendo allo schema del comodato, chi disponga di spazi all’interno della propria abitazione o nelle sue vicinanze, può offrirli in comodato (“prestarli”) a terzi di suo gradimento, affinché se ne servano per uso abitazione e, in virtù di tale uso, purché non difettino dei requisiti essenziali di abitabilità, dovendo essere ad esempio assicurati i servizi igienici, l’acqua calda, l’energia elettrica e quant’altro rende un riparo concretamente “abitabile” , non svilente la dignità della persona che si ospita.
Il godimento può essere concesso per una durata determinata o anche a tempo indeterminato, conservando il comodante la facoltà di richiedere al comodatario la restituzione dell’alloggio in ogni tempo, non appena ne faccia richiesta.
Il contratto può essere concluso anche verbalmente, senza particolari formalità, per telefono o per email o su accordo verbale estemporaneo e si perfeziona con la consegna degli spazi e dei beni mobili che si intendono comodare. Tale elemento fa sì che non si applichi a tale contratto alcuna norma dell’ hotellerie in ordine alle prenotazioni sicché chi offra o.d. non sarà tenuto a rispettare eventuali prenotazioni – se non rispondendo alle comuni regole di cortesia – ben potendo revocare in ogni tempo la propria disponibilità ad ospitare.
Naturalmente, il comodante non è tenuto concedere ospitalità a chiunque ne faccia richiesta (non trattandosi di esercizio aperto al pubblico), né è costretto ad osservare giorni di “apertura” e “chiusura”, in quanto non si applica all’o.d. alcuna norma sulle prenotazioni alberghiere e sui relativi vincoli contrattuali, trattandosi di contratto di godimento fondato sull’intuitus personae, in cui il gradimento della persona del comodatario e le sue qualità personali soggettivamente valutabili dal comodante, restano elemento fondamentale nella determinazione di questi a concedere in uso i propri spazi al terzo.
La essenziale gratuità del comodato fa sì che anche l’o.d. deve attenersi alla gratuità, con la conseguenza che, parallelamente, alcuna rendita dovrà essere dichiarata all’Erario al fine della tassazione.
A parere di chi scrive, col conforto della dottrina e della giurisprudenza già innanzi richiamata, l’Ospitalità Domestica può assumere anche la forma del comodato modale, se il terzo che riceva ospitalità offra al comodante un dono di cosa mobile anche in denaro, purché di modesta entità e purché si configuri come “dono”: che si tratti di una iniziativa libera, anche nel quantum, del comodatario e giammai una richiesta di corrispettivo da parte del comodante.
Si rammenta qui che le donazioni di modico valore di beni mobili (ivi compreso il denaro) non sono soggette a imposizione fiscale, e sono tali allorquando per la loro esigua entità restano classificabili tra i comuni gesti di cortesia, di riconoscenza e di affetto, largamente in uso nella pratica sociale. Si pensi alle “paghette” o alle “strenne natalizie” che nonni, genitori e zii elargiscono – quale ricompensa di gratitudine a fronte del disbrigo di faccende o quali doni veri e propri – ai giovani figli e nipoti, i quali non sono correlativamente obbligati a dichiarare all’Erario tali “entrate”, né come redditi né come donazioni.
In ordine agli adempimenti burocratici.
Per quanto attiene quelli da porre in essere dall’albergatore si rinvia per il dettaglio alla normativa di riferimento del settore Turismo, già in apertura richiamata. Non sarà tuttavia inutile offrire qui solo qualche sintetico cenno, che costituisca pietra di raffronto rispetto alle formalità richieste ai privati cittadini che offrano a terzi ospitalità domestica.
I gestori di esercizi alberghieri e di altre strutture ricettive – a norma di quanto statuito dall’art. 109 del R.D. n.773/1931 (T.U.L.P.S. -Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza) e delle disposizioni di cui al D.M. 19 del 7 gennaio 2013 (recante “Disposizioni concernenti la comunicazione alle Autorità di Pubblica Sicurezza dell’arrivo di persone alloggiate in strutture ricettive”) – sono tenuti a comunicare all’autorità locale di Pubblica Sicurezza le generalità delle persone alloggiate entro le 24 ore successive al loro arrivo, con comunicazione che deve contenere: data di arrivo, numero di giorni di permanenza, dati anagrafici, cittadinanza ed estremi dei documenti di identità degli alloggiati. La formalità andrà eseguita su (quelle che erano denominate) “schedine” approntate dal Ministero (ai sensi del richiamato art. 109 T.U.L.P.S.), ora sostituite dalla comunicazione telematica (di cui al D.M. 19/2013) fruibile all’indirizzo web https://alloggiatiweb.poliziadistato.it, previo conseguimento da parte dell’albergatore delle credenziali di accesso alla piattaforma, da ritirarsi personalmente presso la Questura territorialmente competente.
Tali disposizioni non hanno subìto variazione pur a seguito delle integrazioni introdotte dal Decreto Sicurezza bis (D.L. n. 53 del 14 giugno 2019 recante “Disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica”).
Il Decreto infatti ha modificato l’art. 109 T.U.L.P.S., imponendo ai gestori degli esercizi alberghieri l’obbligo della comunicazione “con immediatezza” quando riferita a i soggiorni per un periodo inferiore alle 24 ore, liddove la vecchia formulazione dell’art 109 non prevedeva distinzioni, cosicché l’obbligo andava assolto entro le 24 ore in ogni caso (per soggiorni di durata inferiore o superiore alle 24 ore). La modifica introdotta dal Decreto Sicurezza bis, tuttavia, all’attualità non ha comportato una variazione di regime. Infatti in sede di conversione del Decreto (con L. n.77 dell’8.08.2019): da un lato (art. 5, comma 1) per il caso di soggiorni di durata inferiore alle 24 ore è stato imposto agli albergatori di effettuare la comunicazione “… comunque entro le 6 ore successive all’arrivo” (in luogo della comunicazione “con immediatezza”); dall’altro (art. 5, comma 1 ter) si è previsto un periodo transitorio stabilendo che tale disposizione entrerà in vigore il novantesimo giorno successivo alla data di pubblicazione del Decreto di cui al comma 1-bis, attualmente ancora non emanato.
Peraltro, l’obbligo della comunicazione “immediata” era già contenuto nel D.M. 19/2013 dove, all’art. 1 era esplicitamente previsto che le comunicazioni devono essere trasmesse “(…) comunque all’arrivo stesso per i soggiorni inferiori alle 24 ore”, discrasia ingenerante di per sé problemi interpretativi e applicativi.
Sulla base dunque della disciplina come ripercorsa, gli albergatori dovrebbero inoltrare alla Questura la comunicazione con la seguente tempistica: entro le 24 ore per i soggiorni superiori alle 24 ore; immediatamente e comunque entro le 6 ore per i soggiorni di durata inferiore alle 24 ore. Poiché però quest’ultima disposizione è “sospesa” sino alla emanazione del Decreto, in definitiva (ed anche alla luce di quanto esplicato nella Circolare del Min. Interno del 16.08.2019 Prot. n. 557/PAS/U/011448/12982. LEG.), il quadro normativo resta immutato, e cioè: gli albergatori dovranno provvedere alla comunicazione alla Questura entro le 24 ore in ogni caso, per soggiorni di durata sia superiore che inferiore alle 24 ore.
Ciò sino all’emanazione del Decreto di cui al comma 1 bis, come richiamato.
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Quali invece le formalità richieste a chi conceda in locazione o in comodato un immobile o parte di esso o che, più semplicemente, ospiti in casa propria amici o viandanti a titolo di ospitalità domestica?
A mente dell’art. 12, D. L. 59/78 convertito in L. 191 del 18.05.1978 “chiunque cede la proprietà o il godimento o a qualunque altro titolo consente, per un tempo superiore a un mese, l’uso esclusivo di un fabbricato o di parte di esso ha l’obbligo di comunicare all’autorità locale di pubblica sicurezza, entro quarantotto ore dalla consegna dell’immobile, la sua esatta ubicazione, nonché le generalità dell’acquirente, del conduttore o della persona che assume la disponibilità del bene e gli estremi del documento di riconoscimento, che deve essere richiesto all’interessato”.
Si tratta della “Comunicazione di Cessione del Fabbricato” che anche il privato è tenuto a formalizzare all’autorità locale di pubblica sicurezza allorquando vende o concede in locazione o in comodato un immobile o parte di esso per un periodo superiore a 30 giorni.
Va precisato che la formalità è stata assorbita dalla Registrazione dei contratti riferiti agli immobili (Vendita, Locazione, Comodato) ai sensi dell’art. 3, 3° comma. D. Lgs 23 del 14.03.2011 recante “Disposizioni in materia di Federalismo Fiscale Municipale” nonché ex art. 5, 4° comma, D.L. n. 70 del 13.05.2011.
L’obbligo della formalità permane dunque per i soli contratti che non siano soggetti a registrazione.
Sul tema, va aggiunto che il Legislatore è intervenuto ancora statuendo – ex art. 2 del D.L. 79/2012 – che a decorrere dal 21.06.2012 la Comunicazione di Cessione del Fabbricato rimane dovuta obbligatoriamente nei seguenti casi: a) in caso in cui venga concesso il godimento del fabbricato o di porzione di esso sulla base di un contrato (anche verbale) non soggetto a registrazione in termine fisso; b) in caso di locazione a stranieri non europei, quindi extracomunitari o apolidi, ex art. 7 del T.U. Immigrazione.
In proposito si segnala anche la Circolare del Ministero dell’Interno n.555/Leg/912.138 del 20.07.2012 con cui viene anche analizzata la ratio della norma. Naturalmente, l’obbligo della formalità in argomento permane in generale per le locazioni “commerciali” o anche ad uso abitativo ma effettuate nell’esercizio di un’attività di impresa, arte o professione, nonché nell’ipotesi di contratti non sottoposti a registrazione pur se di durata superiore ai 30 giorni.
Quando il conduttore o il comodatario è cittadino extracomunitario o apolide, come detto la comunicazione all’Autorità di Pubblica Sicurezza trova disciplina nell’art. 7 D. Lgs. 25.07.1998 n.286 (come integrato dall’art. 8 L. n.189 del 30.07.2002) che così recita: “Chiunque, a qualsiasi titolo, dà alloggio ovvero ospita uno straniero o apolide, anche se parente o affine, ovvero cede allo stesso la proprietà o il godimento di beni immobili, rustici o urbani, posti nel territorio dello Stato, è tenuto a darne comunicazione scritta, entro quarantotto ore, all’autorità locale di Pubblica Sicurezza. La comunicazione comprende, oltre alle generalità del denunciante, quelle dello straniero o apolide, gli estremi del passaporto o del documento di identificazione che lo riguardano, l’esatta ubicazione dell’immobile ceduto o in cui la persona è alloggiata, ospita o presta servizio ed il titolo per il quale la comunicazione è dovuta. Le violazioni delle disposizioni di cui al presente articolo sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 160 a 1.100 euro.”
In virtù di tale ricostruzione normativa, si può sintetizzare che:
- chi intenda offrire accoglienza a turisti/viandanti a titolo lucrativo-imprenditoriale, quale albergatore, dovrà premunirsi delle necessarie autorizzazioni per l’esercizio della sua impresa e provvedere alla comunicazione dei dati dei clienti – di cittadinanza italiana, comunitaria o extracomunitaria – tempestivamente e comunque non oltre le 24 ore dall’arrivo del turista nella struttura ricettiva, sia che il soggiorno abbia durata inferiore sia superiore alle 24 ore;
- chi, imprenditore o meno, conceda in locazione o in comodato un immobile o parte di esso a cittadino italiano o europeo, dovrà provvedere ad inoltrare all’Autorità locale di Pubblica Sicurezza la “Comunicazione di Cessione del Fabbricato” nel solo caso di contratti non soggetti a registrazione o anche non sottoposti a registrazione pur in presenza dell’obbligo (ad es. di durata superiore ai 30 giorni formalizzati con contratto non registrato). Nessuna comunicazione dovrà essere inoltrata per i contratti di durata inferiore ai 30 giorni.
- chi, imprenditore o meno, conceda in locazione o in comodato un immobile o parte di esso a cittadino extracomunitario o apolide, dovrà darne comunicazione tempestiva all’autorità di Pubblica Sicurezza entro le 48 ore, con la “Dichiarazione di Ospitalità” ed inoltre provvedere alla “Comunicazione di Cessione del Fabbricato” quando il contratto sia di durata superiore ai 30 giorni o in caso di contratti non soggetti a registrazione o non registrati pur in presenza dell’obbligo, analogamente a quanto disciplinato in generale e richiamato al precedente punto b.
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Da quanto innanzi si deduce che l’Ospitalità Domestica, temporanea e transitoria, di cittadini italiani o europei non comporta alcun obbligo di comunicazione in capo all’ospitante, salvo che si prolunghi per un periodo superiore ai 30 giorni. In tale ultimo caso, e sempre che non si proceda con la registrazione del contratto di comodato pur verbale (alias contratto di o.d.), dovrà essere inoltrata all’Autorità di Pubblica Sicurezza la Comunicazione di Cessione del Fabbricato. Qualora l’ospitato sia cittadino extracomunitaro o apolide, quale che sia la durata del contratto dovrà procedersi alla comunicazione di “Dichiarazione di Ospitalità” all’Autorità di Pubblica Sicurezza, entro le 48 ore dalla consegna dell’immobile, a cui dovrà aggiungersi la comunicazione di Cessione del Fabbricato nei casi e nei termini di cui innanzi riferiti ai cittadini italiani ed europei.
Riassumendo, i coniugi del nostro caso che, senza voler divenire imprenditori commerciali, vogliano “sfruttare” l’immobile per accogliervi i turisti di passaggio, potranno locare l’immobile o parte di esso percependone rendita da dichiarare all’Erario. In alternativa, potranno offrire ai viandanti Ospitalità Domestica, pratica sociale inquadrabile giuridicamente nel contratto di comodato, cumulativo di cose mobili (letto, biancheria, ecc…) e immobili (la stanza per alloggiare, il bagno, ecc…).
L’Ospitalità Domestica dovrà essere essenzialmente gratuita o, al più, potrà configurarsi “modale”, essendo consentito rimettere al viandante (comodatario) la decisione di offrire o meno un esiguo “donativo” all’ospitante-comodante, a titolo di riconoscenza e simbolica contribuzione alle spese occorrenti all’uso delle cose comodate.
Il donativo non costituirà rendita né reddito fiscalmente imponibile, se contenuto negli stretti termini di cui innanzi.
Se venga offerta Ospitalità Domestica a cittadini italiani o europei per un periodo inferiore ai 30 giorni: nessuna formalità. Se l’ospitalità si protrae oltre i 30 giorni: Registrazione del Contratto o Comunicazione di Cessione del Fabbricato, a seconda che il contratto sia soggetto a registrazione oppure esente o non registrato di fatto.
Viceversa, se venga offerta Ospitalità Domestica a cittadini extracomunitari o apolidi: Comunicazione di Dichiarazione di Ospitalità indifferentemente per permanenze inferiori o superiori alle 24. Ed inoltre: Registrazione del Contratto e Comunicazione di Cessione di Fabbricato, nei medesimi casi previsti per i cittadini italiani ed europei.